Partito Comunista e democrazia costituzionale


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di Giorgio Raccichini

Di fronte ad una legge elettorale e ad una riforma del Senato che ridisegnano, in chiave decisamente centralizzata e non democratica, l’architettura della nostra Repubblica, l’ignoranza politica e storica della Boschi risulta intollerabile oltre ogni limite.

Il movimento partigiano fu assai composito nelle sue aspirazioni ideali e nei suoi obiettivi politici, ma la componente maggioritaria, quella socialista e comunista, gli impresse un deciso carattere che potremmo definire rivoluzionario, se con questo termine intendiamo la volontà di rinnovare le strutture sociali ed economiche del Paese.

La liberazione dall’occupante nazi-fascista era un aspetto importante, ma non l’unico della guerra di liberazione. Liberare l’Italia voleva dire anche non permettere il ritorno puro e semplice del Paese all’epoca prefascista, quando le classi lavoratrici erano costantemente escluse dalla possibilità di partecipare concretamente alla vita politica. Che senso ha, infatti, la seconda parte del terzo articolo della nostra Costituzione se non che bisogna dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare attivamente alla vita politica? Non esiste democrazia politica se un lavoratore rischia di essere facilmente licenziato o alimenta le schiere dei disoccupati, cioè quell’esercito lavorativo di riserva che è utile ai datori di lavoro per mantenere bassi i salari; non esiste democrazia politica se le forze partitiche non possono partecipare a pari condizioni all’agone politico, poiché non tutte sono chiaramente sovvenzionate da facoltosi gruppi privati o hanno il controllo della stampa e delle televisioni; non esiste democrazia politica, se un partito decide che può fare a meno dell’opposizione e prendere da solo tutte le decisioni senza nemmeno avere il consenso assoluto tra gli elettori; non esiste democrazia politica, se la facoltà dello Stato di assumere decisioni economiche viene espropriata da organismi sovranazionali non elettivi. Guardate la Grecia e vedete dove è andata a finire la democrazia.

Ci furono partigiani di idee conservatrici e magari altri hanno nel frattempo cambiato molte delle idee da cui allora erano guidati. Ciò non toglie che la Resistenza ebbe un preciso orientamento politico, quello che poi venne inglobato nella Costituzione del ’48 che ancora oggi delinea una democrazia politica, sociale ed economica in parte ancora rimasta sulla carta. L’Italicum e la Riforma del Senato, mettendo il Parlamento e il Governo nelle mani di un unico partito che rappresenta certi interessi di classe, hanno il preciso scopo di concretizzare lo stravolgimento completo della Costituzione, anche nei suoi principi fondamentali. Questi, già per il fatto di essere scritti nella legge fondamentale del nostro Stato, rappresentano un fattore potenziale di rischio per gli interessi dei grandi gruppi economici, i quali vorrebbero ridurre sempre di più la dignità dei lavoratori delineata dalla Costituzione.

Quel che è certo è che il pilastro fondamentale della democrazia italiana fu il Partito Comunista Italiano; da quando è stato trasformato in una cosa totalmente diversa, la nostra democrazia ha preso una piega che definire orribile è un eufemismo. Si va verso l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti, in modo che solo quelli sostenuti da potenti lobby possano effettivamente concorrere all’accesso alle istituzioni; si depotenziano le Amministrazioni più vicine al cittadino (i Comuni vengono messi economicamente in ginocchio; le Province declassate e rese non elettive; le Regioni depotenziate e già si prefigurano le macroregioni ancora più lontane e separate dai territori); il Parlamento perderà sempre di più la sua importanza a favore di un Governo dai poteri rafforzati, ma a sua volta esecutore di poteri sovranazionali come la Commissione Europea, la BCE e la NATO.

Anche per evitare questo tipo di democrazia noi ci avviamo a ricostruire dalle fondamenta il Partito Comunista Italiano. Dopotutto, visto che i principi politici del liberalismo vengono sotterrati da coloro che si definiscono liberali, tocca a noi Comunisti contribuire a tenere alte sia la bandiera del socialismo che quella del liberalismo.

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